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Rinnovabili, attenzione al pensiero unico

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Corriere del Mezzogiorno del 24 maggio 2022, pp. 1, 10

di Fabio Modesti

Lo scontro aperto sulle energie rinnovabili in Puglia induce ad una riflessione sui rapporti tra opinione pubblica e potere politico. È necessario trovare i modi per aiutare quel potere a non essere ostaggio di sé stesso e di un pensiero unico. In questo è fondamentale il confronto con le comunità interessate dalle decisioni di governo. Nel campo delle rinnovabili assistiamo alla narrazione per slogan per cui l’energia prodotta da fonti rinnovabili ci salverà dall’ecatombe della nostra e delle altre specie e ci affrancherà dalla dipendenza dalle fonti fossili, “decarbonizzandoci”. Posizioni irragionevoli da pensiero unico, appunto, che evitano analisi e valutazioni dei fatti. «Dagli anni 90, decade nella quale con la Conferenza di Rio de Janeiro 1992 il Cambiamento Climatico è entrato ufficialmente nelle agende politiche internazionali, – scrive Michele Manfroni su Rivista Energia, – siamo passati globalmente da una dipendenza relativa dai combustibili fossili del 91%, all’89% del 2018 (nella misura di energia primaria consumata). Di quel circa 10% non fossile, eolico e solare ne rappresentano più o meno il 4%; il resto viene da nucleare ed idroelettrico. Nello stesso periodo, i consumi assoluti di carbone, petrolio e gas, e le emissioni di anidride carbonica relative, sono aumentate rispettivamente del 69%, 47%, 83% e 57%. Stiamo diventando una società più carbon intensive, non meno». La “svolta green” a cui molti dirigenti politici ed amministratori pubblici in Puglia ora si richiamano senza mai essersene occupati, è pesante per l’ambiente ma non lo si dice. Secondo Bank of America, citata da Giovanni Brussato su L’Astrolabio degli Amici della Terra, le materie prime necessarie ad una transizione accelerata prevedono un tasso di crescita annuale composto (CAGR) di consumo del 3,6% per il rame, 24,6% per il litio, 7,6% per il nichel, 18% per il cobalto, 2,5% per l’argento e 3,3% per il platino. La quantità di gas serra che verrà immessa in atmosfera sarà spaventosa. Ma, tanto, la nostra è una decarbonizzazione proxy, in cui cioè le terre rare ed i metalli critici necessari per realizzare i magneti delle turbine eoliche si vanno a prelevare nei Paesi più poveri e con regimi dittatoriali come il Myanmar, causando disastri ambientali sconosciuti; i pannelli fotovoltaici, invece, li si fa realizzare agli Uiguri schiavizzati nei campi di lavoro cinesi dello Xinjiang. Aiutare il potere a non essere ostaggio del pensiero unico comporta che esso accetti il dibattito pubblico su dati reali e senza ricorrere a slogan. Se raggiungere gli obiettivi comunitari del “Fit for 55” per il nostro Paese (cioè ridurre le emissioni di CO2 del 55% entro il 2030) determina che la sola estrazione e raffinazione delle terre rare necessarie ai magneti permanenti delle turbine eoliche potrebbe immettere in atmosfera oltre 250.000 tonnellate di CO2, è necessario che chi governa lo sappia, lo renda pubblico e si confronti su questo. Anche perché, alla fine, i costi del green deal, già così azzoppato, ricadono comunque sulle nostre tasche.

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