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Natura 2000 e proprietà privata, abbiamo un problema

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In una recente sentenza relativa ad una Zona di Protezione Speciale in Puglia, il Consiglio di Stato rimette in discussione una parte importante del procedimento regionale che ha portato alla designazione di Siti Natura 2000. Agire presto per porre rimedio mediante una legge.


> Foto copertina: Antonio Sigismondi

È recente, e passata quasi inosservata, una sentenza del Consiglio di Stato, sezione II, – la n. 7354 del 24 novembre 2020 – che potrebbe lasciare non pochi strascichi in materia di attuazione della politica UE di protezione della natura attraverso i Siti Natura 2000. La sentenza riguarda il ripristino dell’inserimento dei terreni di proprietà di una società  agricola a Valle San Floriano – Zapponeta (FG) -, nella Zona di protezione speciale (Zps) “Paludi presso il Golfo di Manfredonia”. La Giunta regionale pugliese decise l’inserimento di quei terreni nella Zps con deliberazione n. 1022 del 21 luglio 2005. Valle S. Floriano, attualmente di proprietà del gruppo alimentare romagnolo Amadori, è nota per essere un’azienda faunistico-venatoria (dove si va a caccia a pagamento soprattutto di uccelli migratori poiché zona umida ancorché artificiale).

Il pasticcio amministrativo

È successo che l’essere territorio di caccia così ambìto abbia portato la Giunta regionale ad un pasticcio amministrativo dovuto, a dir la verità, anche alla confusa normativa nazionale con la contemporanea titolarità sulla materia di due ministeri (quello alle Politiche agricole e quello all’Ambiente). In questo pasticcio Valle San Floriano si è trovata prima esclusa dal novero delle Zps e poi nuovamente inclusa. Il Tar Bari, cui la società proprietaria si era rivolta contestando l’operato regionale e chiedendo di non essere inclusa nella Zps, ha dato ragione al ricorrente ed il Consiglio di Stato, appellato dalla Regione Puglia, ha confermato la sentenza del Tar.

La tutela dell’esercizio della proprietà privata

In particolare, sostiene il Consiglio di Stato, «la Società [proprietaria dei suoli] non ha mai ricevuto notifica ovvero qualsivoglia forma di comunicazione dell’originaria inclusione dei propri terreni in zona protetta disposta nel 2005 e ne ha pertanto avuto contezza solo a seguito della revoca dell’atto medio tempore intervenuto sulla materia». Secondo i giudici di Palazzo Spada, gli atti di individuazione delle Zps «paiono collocarsi in una sorta di stadio intermedio tra la pianificazione e l’apposizione del vincolo (“misure di conservazione”)» e «mutuando terminologia propria del diritto urbanistico, si tratterebbe di una sorta di variante specifica o individualizzata, a contenuto mirato, la cui portata circoscritta a pochi destinatari (almeno di regola) ne impone il coinvolgimento, avuto riguardo alla tipologia delle limitazioni imposte».

Valle San Floriano, 1980

Insomma, l’individuazione delle Zps non può essere annoverato tra gli atti di pianificazione territoriale da cui derivano vincoli detti “conformativi e, nel caso di Valle San Floriano, «la centralità attribuita alla artificialità del contesto […]» e «la mancanza di requisiti di tipo naturalistico nel sito oggetto di disciplina […]» agiscono direttamente sull’esercizio della proprietà. La sentenza del Tar Puglia, che il Consiglio di Stato ha confermato, «censura l’aver inciso su “quella” proprietà, con riferimento alla quale la titolare ha dimostrato gli sforzi, anche economici, necessari al mantenimento dello status quo, senza una doverosa istruttoria finalizzata a comprendere l’inevitabilità della scelta, comparando gli interessi in gioco, e conseguentemente legittimandola con una motivazione adeguata».

Così com’è è un vincolo preordinato all’esproprio

Il procedimento regionale avrebbe quindi determinato una sorta di vincolo preordinato all’esproprio senza tuttavia procedere a quest’ultimo, sostanzialmente bloccando lo sviluppo dell’azienda (che si è vista negare la realizzazione di un impianto eolico proprio perché vigenti le misure di conservazione per le Zps) e imponendo il mantenimento della zona umida artificiale allagata mediante prelievo di acqua dal torrente Carapelle. Secondo i magistrati amministrativi di appello, «hanno dunque carattere espropriativo le limitazioni del diritto di proprietà che, pur non determinando una traslazione totale o parziale di diritti, ne svuotano o ne comprimano il godimento tanto profondamente da renderlo inutilizzabile in rapporto alla destinazione inerente alla natura del bene stesso, ovvero, da determinare il venir meno del suo valore di scambio o una penetrante incisione sull’entità dello stesso». Un bel problema, non c’è che dire, da risolvere al più presto, prima che assuma dimensioni pericolose. Forse è arrivato il momento, per la Puglia, di abbandonare la strada dei provvedimenti amministrativi per regolare una materia così complessa come quella dei Siti Natura 2000 ed intraprendere quella legislativa. Certo, questa ha bisogno di spalle forti, maggioranze stabili e legislatori che non seguono i mal di pancia ad ogni pie’ sospinto. Questa strada consentirebbe, peraltro, di mettere le aziende di fronte alle proprie responsabilità, verificato che, anche nel caso di Valle San Floriano, sono destinatarie di fondi pubblici europei per l’agricoltura per centinaia di migliaia di euro ottenuti in misura maggiore delle altre proprio perché operanti in Siti Natura 2000. E non si possono avere due piedi in una scarpa.

Fabio Modesti

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