La morte di Aleksej Navalny per mano del regime dittatoriale di Putin non provoca alcuno sdegno da parte dell’amministrazione del capoluogo pugliese. Lo ha provocato, invece, la reazione israeliana agli omicidi, agli stupri ed ai rapimenti del 7 ottobre 2023 da parte dei terroristi di Hamas
In copertina, “In Memoriam di Aleksej Navalny” acrilico su tela di Luca del Baldo – ©Luca del Baldo, 2024
di Fabio Modesti
Giordano Bruno Guerri su X (ex Twitter) cita, per commentare la morte di Aleksej Navalny per mano del regime dittatoriale russo di Putin, un componimento del poeta avanguardista Vladimir Majakovskij sulla Russia: «Ho visto paesi più ricchi, più belli, più civili / ma una terra con più dolore / non mi è mai capitato di vedere». E tra i commenti a questo post ve n’è uno che cita un passo del libro dello scrittore dissidente sovietico Vladimir Konstantinovic Bukovskij, “Il vento e poi ritorna”, che dice: «La Russia è terra di schiavi. I russi non hanno mai avuto democrazia e mai l’avranno. Non sono fatti per essa. Col nostro popolo un altro metodo sarebbe impossibile». Navalny era l’avversario, il nemico, più pericoloso per Putin. Aveva carisma e forza comunicativa. Era stato avvelenato, nella migliore tradizione zarista e poi sovietica, ma salvato per un pelo e portato in Germania. Ma lui decise di voler tornare in patria per sfidare ancora il dittatore Putin. E questa volta gli è costata la vita. Le ultime notizie dicono che Navalny fosse in procinto di essere liberato in uno scambio di prigionieri tra USA, Germania e Russia. Putin vuole riavere un suo sicario, l’”assassino di Tiergarten”, un agente dei servizi segreti che a Berlino nel 2019 aveva sparato ad un oppositore del regime. Navalny può anche essere morto per cause naturali che nel ghiaccio della Siberia sono diventate letali: la colpa della morte è comunque di Putin. Tutto questo, però, pare non scalfire la politica regionale pugliese che prosegue come se nulla fosse il suo cammino alla ricerca di candidati per le elezioni amministrative a Bari ed a Lecce ed alle europee di giugno prossimo, ma anche per le prossime elezioni regionali del 2025. Se contro la reazione di Israele al massacro, alle violenze sessuali ed ai sequestri di persona perpetrati dai terroristi di Hamas nei kibbutz il 7 ottobre 2023, nel capoluogo di regione, Bari, si sono svolte manifestazioni addirittura organizzate dall’amministrazione comunale, questa volta il silenzio è totale. D’altra parte lo stretto rapporto tra le amministrazioni comunali baresi che si sono succedute ed il governo di Putin è consolidato. San Nicola fa da “ambasciatore” con la chiesa ortodossa russa ed il regime putiniano. In questi ventiquattro anni di dittatura putiniana i motivi di collaborazione con le amministrazioni del capoluogo barese si sono rinsaldati a partire dalla definizione della proprietà della Chiesa russa di Bari in capo alla chiesa ortodossa di Mosca, in una triangolazione di beni con lo Stato italiano. Il fatto che Putin in questi quasi venticinque anni si sia macchiato dei peggiori reati, a cominciare dall’assassinio di Antonio Russo, reporter di Radio Radicale che denunciava le atrocità russe in Georgia e Cecenia, a quello di Anna Politkovskaja, ai tanti altri ed alle guerre in Siria ed Ucraina, non ha fatto recidere all’amministrazione locale barese legami che colano sangue. I Comuni con i loro Sindaci, di cui quello di Bari è il presidente associativo, hanno voluto il riconoscimento di parità costituzionale con lo Stato e con le Regioni ma la responsabilità di difendere libertà e democrazia sembra non appartenergli. L’amministrazione di una comunità è così diventata mera contabilità e tagli di nastri. La dignità della politica delle idee si è nascosta per paura delle forbici.