La Corte costituzionale dichiara illegittima una norma del 2017 che non consentiva l’alienabilità di terreni di proprietà privata gravati da usi civici. Anche dopo la vendita i suoli mantengono il diritto d’uso collettivo così come conservano la tutela paesaggistica dopo l’eventuale liquidazione dei diritti d’uso civico
In copertina, i pascoli naturali dell’Alta Murgia a Lama di Nervi – foto ©Fabio Modesti
di Fabio Costantino e Fabio Modesti
Con la sentenza n. 119 depositata il 15/6/2023, la Corte Costituzionale è stata “costretta” da un legislatore “disattento” e poco sensibile alla tutela del diritto di proprietà, a riaffermare il principio secondo il quale la circolazione di un bene privato non è di ostacolo alla tutela degli interessi collettivi inerenti al bene medesimo. La Corte ha dichiarato che l’inalienabilità della proprietà privata gravata da usi civici non ancora liquidati – sancita dal combinato disposto dell’art. 3, comma 1. lettera d) e comma 3. della legge n. 168 del 2017 (proposta dall’allora senatore del PD Giorgio Pagliari, docente di Diritto Amministrativo presso il Dipartimento di Ingegneria Civile, dell’Ambiente, del Territorio e Architettura dell’Università di Parma) – «non presenta alcuna ragionevole connessione logica» con la conservazione degli stessi e, per il loro tramite, con la tutela dell’interesse paesistico-ambientale. In altre parole, non serve a nulla disporre l’inalienabilità del bene per tutelare “gli interessi collettivi” gravanti su di esso.
La proprietà privata non cancella i diritti della collettività
Questo perché la tutela degli interessi collettivi gravanti su di un bene privato è assicurata dalla rilevanza giuridica che il nostro ordinamento attribuisce all’atto di destinazione economica che, in questo caso come in altri, la legge ha impresso al bene. Il bene circola con impressa quella destinazione e qualsiasi attività il privato, o i terzi, dovessero compiere per impedire l’attuazione degli usi civici verrebbe inibita dal Giudice. «[…] Sono, dunque, proprio i caratteri tipici della realità a rendere la tutela e l’esercizio dei diritti di uso civico del tutto indifferenti alla circolazione del diritto di proprietà – afferma la Consulta -: gli usi civici seguono il fondo, chiunque ne sia titolare, grazie all’inerenza, e i componenti della collettività continuano a poter esercitare tutte le facoltà che gli usi civici conferiscono loro, essendo il diritto immediatamente opponibile a chiunque». Nella sentenza si afferma ancora che«la proprietà privata circola unitamente agli usi civici e al vincolo paesaggistico, incorporando in tal modo la destinazione paesistico-ambientale, con la conseguenza che chiunque acquisti il fondo non può compiere alcun atto che possa compromettere il pieno godimento promiscuo degli usi civici».
I principî affermati storicamente
Il principio di lapalissiana conoscenza giuridica nelle società liberali era in fondo noto ed applicato sin dalla fine dell’800, ben prima che la Carta del Carnaro (1920) e la nostra Costituzione (1946) conformassero la proprietà privata alla “funzione sociale”. Un concetto che Benedetto Croce espresse magnificamente nella presentazione del disegno di legge sulla Tutela delle bellezze naturali il 25 settembre 1920. Nel 1887 la Cassazione Romana (all’epoca ogni regione aveva una Corte di Cassazione) decise una causa tra il Comune di Roma ed il Principe Borghese. La questione riguardava il fatto che il Principe Borghese aveva fatto chiudere i cancelli di Villa Borghese al pubblico passaggio: il Principe voleva così affermare l’integrità dei suoi diritti di proprietà sui giardini della Villa impedendo al popolo romano il pubblico passaggio che sino ad allora aveva esercitato. Il Comune resistette a tale comportamento agendo in giudizio con azione di reintegrazione ed in subordine per la manutenzione del possesso, per affermare il diritto di pubblico passaggio della popolazione. La Corte accolse la tesi del Comune di Roma e riconobbe la sussistenza in capo al popolo romano del diritto di uso pubblico sui giardini di Villa Borghese, al fine di esercitarne il passeggio. Un Giudice, quindi, più di cento anni fa, aveva già riconosciuto il diritto d’uso pubblico di un bene privato, con la facoltà per la collettività di accedere sul fondo altrui (jus deambulanti). Ma si badi, quello jus deambulanti, come oggi gli usi civici gravanti su bene privato, non riguardano soltanto i rapporti fra il titolare del bene e un “pubblico” indistinto, bensì i rapporti tra il titolare e ciascun componente della “collettività”, il quale è portatore di un interesse personale, immediato ed attuale ad una determinata qualità della vita che viene a dipendere proprio dal rispetto dell’effettività di quella destinazione giuridica. Tutelare l’effettività della destinazione collettiva del bene privato è interesse di tutti e di ciascuno e per questo l’ordinamento offre la relativa tutela. Una sentenza che conferma il regime di tutela paesaggistica delle terre civiche anche sdemanializzate, rafforzata dal decreto-legge n. 77/2001 con il quale è stato stabilito – si ricorda nella sentenza della Consulta – «che i terreni sdemanializzati, a seguito delle permute fra domini collettivi e terreni del patrimonio disponibile dei comuni, delle regioni o delle Province autonome di Trento e di Bolzano, preservano “il vincolo paesaggistico”».