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Nel centenario della nascita di mio padre, tratteggio la sua figura – La lezione di Giovanni Modesti

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di Fabio Modesti

Il 24 marzo di cento anni fa è nato Giovanni Modesti, mio padre e padre di mia sorella Mariella, morto nel marzo 1996. Primo di quattro figli, vide la luce nell’anno in cui Giacomo Matteotti fu ucciso dai fascisti. Il padre, mio nonno Alfonso, era segretario della sezione del PSI di Corato e fu incarcerato durante le manifestazioni antifasciste seguite a quel delitto. Mio padre nacque, quindi, socialista quasi per destino genetico e culturale. Dopo gli studi liceali classici a Corato, l’assunzione nelle Ferrovie dello Stato allora “militarizzate” (si era dopo l’8 settembre 1943), quindi l’arruolamento negli Alpini con destinazione il Veneto dove a Mestre conobbe Livio Maitan, un anno più grande di lui, dirigente della IV Internazionale. Mi raccontava delle armi nascoste e disponibili dopo la liberazione per la rivoluzione marxista. Finita la guerra, l’iscrizione al PSI-PSIUP, l’apertura della prima sezione del partito a Bari con i più giovani Rino Formica e Michele Digiesi. Ancora dopo, nel 1947, la scissione di Palazzo Barberini e la scissione in famiglia con mio padre ventitreenne che rimase iscritto al PSI-PSIUP e mio nonno Alfonso che decise di entrare nel PSLI-PSDI. Padre e figlio non si parlarono per lunghissimi anni. L’inizio dell’attività giornalistica avvenne con “l’Avanti!” diretto da Pietro Nenni; poi, l’adesione al Fronte Democratico Popolare nel 1948 ed ancora l’attività giornalistica con “Il Lavoro nuovo” di Genova diretto da Sandro Pertini, con “Il Paese”, “Paese Sera” e “Milano Sera”. Divenne segretario provinciale della CGIL Ferrovieri scontrandosi con l’ala comunista del sindacato che, mi raccontava, faceva accordi sottobanco con la dirigenza delle FS. Diresse gloriosi giornali dei ferrovieri come “Il Pungolo”, diffusi in tutta Italia e che portarono vento nuovo tra lavoratori fondamentali per la crescita del Paese.

La prima pagina de La Città nuova del 20 aprile 1973

Alla fine degli anni ’50, fondò il settimanale “La Città nuova”, di cui fu anche direttore responsabile, che per decenni ha fatto da contraltare all’informazione locale paludata e governativa. Ma le FS non videro di buon occhio l’iniziativa editoriale e posero l’aut-aut: le FS o il giornale. Peppino Papalia, senatore del PSI e Sindaco di Bari con una maggioranza di sinistra durata sette mesi, convinse mio padre a cedere la proprietà, in famiglia oppure costituendo una società di cui lo stesso Papalia si propose nel ruolo di presidente «per consentirti – gli disse – di rompere le scatole a certa gente alla quale, del resto, io sono legato da rapporti di dialettica parlamentare e, quindi, di scarsa amicizia». La proprietà del giornale fu intestata a mia nonna materna. “La Città nuova”, palestra di numerosi professionisti del giornalismo pugliese, cui si aggiunse “La Città domani”, era una spina nel fianco. Ricordo, avevo 8 anni, quando nel giorno della Festa dell’Immacolata del 1970 (onomastico di mia madre) vidi arrivare a casa mio padre trafelato e sudato e raccontare a mia madre che lui non poteva stare con noi per almeno qualche giorno: gli avevano detto che il nome era in un elenco di persone da prelevare per le patrie galere. Era il tentato golpe Borghese. Per qualche giorno effettivamente non tornò a casa. Il resto è storia nota o forse ancora non del tutto.

Nel 1972, con la nascita della Regione Puglia nacque anche quella che è stata, forse è ancora oggi, l’unica agenzia di stampa dedicata ad una Regione intesa come ente territoriale: TIERRE (tuttaregione). TIERRE era un maglio, un colpo fendente ad ogni uscita per decenni quotidiana. L’attività politica regionale ed i suoi retroscena erano messi a nudo; presidenti, assessori, gran commis, tutti sotto la lente di ingrandimento di TIERRE senza sconti per nessuno. Dopo il congresso al Midas nel 1976, mio padre non rinnovò più la tessera del PSI.

Mio padre, Giovanni, a sinistra, con a destra Franco Squicciarini (Ansa) ed Italo Palasciano (l’Unità) durante una conferenza stampa nella sede del Consiglio regionale pugliese nei primi anni ’80
Vittorio Bodini

Nel 1984 decise di mettere nero su bianco le vicende vissute in prima persona da inviato de “Il Paese” e “Paese Sera” nelle terre dell’Arneo, in territorio di Nardò, provincia di Lecce, occupate dai braccianti che chiedevano, ai proprietari latifondisti, fossero messe in coltura. Vicende vissute con Vittorio Bodini, scrittore, poeta ed ispanista salentino di pregio, lì inviato dal primo rotocalco italiano di avanguardia, “Omnibus” diretto da Titta Rosa. Quell’esperienza è raccontata nell’unico libro da lui scritto ed autoprodotto “Puglia anni ’50 Cronache – Con Vittorio Bodini sulle terre del marchese”, dedicato «ai giovani, agli immemori, in memoria di Vittorio Bodini»; oggi ne esistono pochissime copie, l’impegno è rieditarlo. Carteggi, collezioni dei giornali da lui diretti ed altri importanti documenti sono raccolti in un fondo archivistico voluto da Gianvito Mastroleo e costituito presso la Fondazione Giuseppe Di Vagno a Conversano. La Puglia di un cinquantennio è stata raccontata da Giovanni Modesti con spirito libero, senza padroni se non sé stesso e senza paraocchi. Continuare a farlo era la sua speranza da concretizzare nelle azioni di chi la condivide.

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