Più che piantare milioni di alberi bisogna puntare su migliore gestione e potenziamento di boschi e foreste esistenti.
E non c’è niente da fare; sembra che nonostante i lockdown (rigidi o meno che siano), le polveri sottili non accennino a diminuire. Fenomeno, ovviamente, maggiormente avvertito in pianura padana e nelle città incastrate nelle conche tra gli Appennini, meno in quelle, come Bari, affacciate sul mare e preda di svariati venti. Coldiretti Puglia, comunque, lancia l’allarme a seguito dei dati pubblicati da un recente studio sulla mortalità causata da PM2,5 (il particolato fine), dal quale emerge che le città pugliesi non siano ben messe. L’idea di Coldiretti con Federforeste, quindi, è creare «vere e proprie oasi mangia smog nelle città dove respirare area pulita grazie alla scelta degli alberi più efficaci nel catturare i gas ad effetto serra e bloccare le pericolose polveri sottili».
Dal Recovery Plan al Decreto-Clima
Il tutto piantumando almeno 50 milioni di alberi nell’arco dei prossimi cinque anni «nelle aree rurali e in quelle metropolitane anche per far nascere foreste urbane con una connessione ecologica tra le città, i sistemi agricoli di pianura a elevata produttività e il vasto e straordinario patrimonio forestale presente nelle aree naturali anche con i fondi europei del Recovery Fund per rispondere alle vertenze ambientali». C’è da dire che, al di là del Recovery Plan in corso d’opera da parte del governo, un po’ di risorse per la riforestazione urbana erano già contenute nel cosiddetto Decreto-Clima di fine ottobre 2019: 30 milioni di Euro a disposizione delle Città Metropolitane per un «programma sperimentale di messa a dimora di alberi, di reimpianto e di silvicoltura, e per la creazione di foreste urbane e periurbane». Entro 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto si sarebbero dovuti presentare progetti con l’avviso che ne sarebbe stato finanziato uno per ciascuna Città.
Boschi e foreste già pozzi di CO2
Ma l’attuazione del decreto è lenta e per la forestazione urbana non ci sono ancora tutti i decreti attuativi previsti. Come abbiamo già scritto in altre occasioni la situazione del verde urbano nei territori comunali dell’area metropolitana barese è alquanto deficitaria sia in termini quantitativi che qualitativi. Il capoluogo di regione è tra i centri abitati con il più basso rapporto verde/abitanti, con tanti “prati inglesi” ma povera di ombra, ed altrettanto dicasi per gli altri 40 centri urbani. I contesti periurbani, però, sono di grande interesse. Relitti di antiche vestigia forestali attorno ai centri urbani di Acquaviva, Conversano, Gioia del Colle, Locorotondo, Noci, Mola, Rutigliano. Sono presenze boschive anche di notevole interesse scientifico, veri pozzi di CO2. I contesti periurbani di Altamura, Grumo Appula e Toritto costituiscono il compendio più importante di boschi di latifoglie del Parco Nazionale dell’Alta Murgia. Gravina in Puglia possiede il più importante complesso boscato naturale della Città Metropolitana, il Bosco Difesa Grande sul quale ora incombe anche la possibile allocazione del deposito nazionale per i rifiuti nucleari. Ci si chiede, quindi, se piantumare milioni di piccoli alberi per catturare più CO2 sia la cosa migliore da fare e l’unica cosa su cui puntare.
Potenziare la vegetazione esistente
La gestione del verde urbano è già molto complicata ed onerosa, orientata sempre più verso l’utilizzazione di specie inadeguate ed esotiche; non si avverte il bisogno di gravarla ancor di più. Forse bisognerebbe puntare su una migliore gestione di quel che c’è, sul potenziamento della vegetazione esistente attraverso una gestione naturalistica che contempli varie finalità ecologiche e di difesa idrogeologica. La connessione ecologica tra tessuto urbano ed agroecosistemi verrebbe per lo più da sé, magari con un piccolo aiuto. Ma piccolo.
Fabio Modesti
Sono d’accordo. Sempre meglio valorizzare quel che già abbiamo, prima di ricorrere al nuovo.
Caro Ambrogio, non credo di aver compreso se la conclusione assolutamente incomprensibile sia la mia. Se fosse così, vorrei ribadire che impiantare 50 milioni di piantine che dopo decenni potrebbero diventare alberi, consente di catturare quantità infime di CO2 rispetto a boschi esistenti da decenni se non centinaia di anni. Quindi, per spendere al meglio soldi pubblici ritengo sia necessario fare un’accurata analisi costi-benefici, oltre che di impatto ambientale.
Un ottimo programma anche se a lunga scadenza. Si potrebbe integrare limitando l’uso eccessivo dei prati in stile inglese che aggravano le criticità sulla disponibilità delle risorse idriche, nostro atavico problema. Sulla scelta delle essenze arboree andrebbero privilegiate le latifoglie autoctone a crescita rapida per”anticipare”o tempi