E ora c’è l’«incubo» cormorano

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Dopo cinghiali, lupi, orsi, storni ora è il turno di questa specie… Sono già partite le lamentale da allevatori ittici del lago di Varano da politici locali e da associazioni di categoria che hanno stimato «a occhio» le perdite economiche. Cosa si è fatto in altre zone italiane. Le inadempienze della Regione (da Villaggio globale 26 febbraio 2019)

di Fabio Modesti

 

Pare non ci si capisca più nulla con gli animali selvatici che ci girano attorno e che disturbano la nostra umana tranquillità, anche produttiva. Tra tutti, cinghiali, lupi, orsi, storni e cormorani. Questi ultimi, poi, spazzolano con voracità gli allevamenti di pesce arrecando, a detta degli operatori economici, danni inestimabili.Recentemente la Puglia è assurta agli onori delle cronache per i danni provocati nella laguna di Varano, nel Parco nazionale del Gargano, da questi straordinari «pescatori del cielo» evocati e sublimati in molte poesie da autori cinesi (in Cina è pratica tradizionale la pesca con l’ausilio del cormorano) ed anche italiani come Eugenio Montale. Subito sono partiti gli alti lai di politici locali e di associazioni di categoria, sono state stimate «a occhio» le perdite economiche: almeno 500.000 Euro ai danni di un solo imprenditore! Soprattutto, sono partite le richieste di riperimetrazione dell’area protetta perché «scelta doverosa».

Ma ragioniamo

Ragioniamo, però. Che il cormorano (Phalacrocoras carbo) sia una specie problematica per la sua interazione con le attività economiche, è un dato di fatto. Stragi di uccelli marini (non solo cormorani) sono avvenute nel tempo perché i pescatori li ritenevano i principali competitori nel prelievo di pesce. Stessa sorte è toccata (tocca ancora?) anche a specie di mammiferi come foche e delfini.Ma, nel caso che ci riguarda, almeno nell’attualità della vicenda, alcune questioni devono essere poste. Ad esempio: è mai stato elaborato un piano di gestione della specie nell’area protetta? Le esperienze in tal senso ci sono e le azioni messe in atto a seguito del piano di gestione hanno avuto efficacia. In Italia, all’inizio del 2000, la Provincia di Rovigo chiese al Dipartimento di Biologia, Sezione di Biologia evolutiva, dell’Università di Ferrara di predisporre un Piano di azione per gestire la popolazione di cormorani presenti nel delta del Po veneto.Attraverso una serie di iniziative quella popolazione è stata contenuta ed i danni di molto ridotti. Fondamentale è stata la partecipazione degli allevatori ittici della zona che hanno messo in atto una serie di riuscite misure di protezione degli allevamenti.

Interventi positivi e non

Tra le azioni intraprese, innanzitutto il monitoraggio della popolazione e l’individuazione delle colonie. Successivamente, avendo un quadro esaustivo ed abbastanza fedele della presenza numerica della specie, si è partiti con le attività di disturbo presso i dormitori nelle ore tardo pomeridiane e serali con fucile laser, razzi luminosi e petardi. Sono stati anche autorizzati abbattimenti di esemplari da parte di 8 aziende del territorio. Di queste, però, solo quattro hanno proceduto agli abbattimenti per un totale di 104 capi. L’efficacia di tale azione è stata ritenuta dagli stessi autori del piano «insignificante ai fini di una riduzione delle presenze di cormorano nell’area del delta e dell’impatto sulla popolazione svernante».Nel periodo novembre 1999-marzo 2000 (periodo di stanzialità della popolazione), gli individui sono diminuiti di circa 1.300 capi. Ma, soprattutto, riportano gli estensori ed attuatori del piano, «oltre ai risultati numerici ottenuti, talvolta difficili da

Il Piano strategico per l’acquacoltura in Italia 2014-2020, stabilisce tra le priorità di azione l’elaborazione di un «Piano per la gestione delle popolazioni di predatori selvatici». Ad oggi, però, né Lo Stato né le Regioni che si lamentano hanno investito risorse e menti per giungere al risultato.

interpretare per la mancanza di termini di confronto e la complessità dei fattori da considerare (Dumeige 1993, Mott et al. 1992, Glahn et al. 2000), occorre sottolineare il riscontro favorevole ottenuto dai vallicoltori.In particolare è stato verificato un generale consenso verso i contenuti e le modalità di svolgimento del piano, l’ampia disponibilità a collaborare da parte delle aziende più motivante e attive nella produzione ittica, un progressivo cambiamento nei rapporti con l’Amministrazione provinciale. Un risultato «accessorio» allo svolgimento del piano, ma non meno significativo, risiede nella progressiva presa di coscienza da parte dei vallicoltori della concreta necessità di operare attivamente a protezione delle colture usufruendo del sostegno e della collaborazione delle amministrazioni locali e della consulenza di esperti del settore, piuttosto che sostenere rigide posizioni di sterile contrapposizione».Posizioni analoghe a quelle della Lega italiana per la protezione degli uccelli (Lipu) che alla fine degli anni 90 del secolo scorso, ha prodotto un documento scientifico per la gestione del cormorano «Documenti scientifici per la conservazione – Specie problematiche – 1 – Il Cormorano», ad oggi introvabile sul web, che comunque punta sulla prevenzione e sul monitoraggio.Il piombo serve veramente a poco. Tra l’altro, la Lipu afferma che «[…]Le modifiche delle pratiche acquacolturali debbono mirare alla riduzione della presenza contemporanea dei cormorani e dei pesci in condizioni non difendibili. A questo riguardo uno studio condotto in Camargue (Francia) sugli allevamenti ittici locali, ha mostrato che nelle vasche vulnerabili alla predazione del Cormorano, si potrebbe effettuare la raccolta a fine ottobre/inizio novembre (alla fine della stagione di crescita dei pesci) prima dell’arrivo massiccio dei Cormorani […]».

E il Piano strategico?

La stessa Unione europea non sa bene come fare a gestire questa specie. Il Piano di azione europeo non è stato ancora elaborato ed il Parlamento europeo, ancora nel 2013, ha sollecitato la Commissione ad approntarlo, ma l’unica risposta è stato un documento di orientamento. 

Sta di fatto che il cormorano resta specie non cacciabile, tanto più in un’area protetta. Per il suo contenimento numerico è possibile che le Regioni e gli Enti di gestione delle aree protette mettano a punto specifici piani che possono anche prevedere il prelievo di un numero di esemplari non indefinito e non ad libitum; la deroga alla protezione, cioè, deve essere molto ben motivata, circostanziata e delimitata nelle azioni, nel numero di capi da prelevare e nel tempo. Diversamente, il nostro Paese incapperebbe per l’ennesima volta in una procedura d’infrazione davanti alla Corte di Giustizia Ue senza molte possibilità di uscirne indenne.

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