Secondo il Consiglio di Stato la rinaturalizzazione delle cave è preferibile ad interventi umani di coltivazione orientati al recupero ambientale. E la procedura di valutazione ambientale strategica (Vas) di un Piano cave può essere anche postuma
In copertina, la cava di porfirite “La Rasa” nei Comuni di Varese e Brinzio (Lombardia) – Foto ©Google Earth
di Fabio Modesti
C’è una cava, tra i Comuni di Varese e di Brinzio, in Lombardia, contesa tra l’ente parco regionale Campo dei Fiori ed una società, omonima della cava, che ne vorrebbe realizzare un recupero morfologico ed ambientale. La società presenta un progetto alla Regione Lombardia per il recupero morfologico ed ambientale della cava con una percentuale di prelievo di materiale finalizzato al modellamento dei versanti. Viene così a sapere che anche l’ente parco regionale di Campo dei Fiori aveva presentato un progetto di recupero ambientale e paesaggistico della cava ed allo stesso ente la società aveva presentato il progetto di recupero. L’ente gestore del parco ha negato le autorizzazioni richieste e così ha fatto la Regione Lombardia. Ne è nato un contenzioso amministrativo conclusosi al Consiglio di Stato con una recente sentenza.
L’aggiornamento del Piano cave
Qualche anno prima la Regione Lombardia aveva avviato i procedimenti per l’aggiornamento del Piano cave della Provincia di Varese e per la relativa Valutazione ambientale strategica (Vas). Con questi procedimenti la Regione ottemperava alle prescrizioni della Commissione UE la quale aveva rilevato che il Piano cave era stato approvato nel 2008 in assenza di Vas, in violazione della direttiva 2001/42/CE ed aveva aperto un procedimento di infrazione contro lo Stato italiano (Caso EU Pilot 2706/11/ENVI). Il parere motivato che ha concluso il procedimento di Vas è stato pure impugnato dalla società che ha contestato la violazione della direttiva UE sulla Vas in quanto la valutazione non era stata attivata e completata prima dell’approvazione definitiva dell’aggiornamento del Piano cave provinciale che peraltro ha precluso la possibilità di estrarre materiale dalla cava in questione. Su questo aspetto il Consiglio di Stato ha statuito che la conclusione della procedura di infrazione da parte della Commissione UE, una volta effettuata la Vas postuma del Piano cave della provincia di Varese e riapprovato lo stesso Piano aderendo alle valutazioni effettuate, ha dimostrato la correttezza del procedimento. Questo, peraltro, – spiega il Consiglio di Stato – suffragato dall’orientamento «della Corte di Giustizia, sia pure formulato in materia di VIA, secondo cui “gli Stati membri sono obbligati ad eliminare le conseguenze illecite derivanti dall’omessa effettuazione della valutazione ambientale e che, proprio per questa ragione, il diritto dell’Unione non osta a che tale valutazione sia effettuata ex post, purché le norme nazionali che consentono la regolarizzazione non forniscano agli interessati l’occasione di eludere le norme di diritto comunitario o di esimersi dall’applicarle e purché la valutazione postuma tenga conto anche dell’impatto ambientale già intervenuto”».
La rinaturalizzazione della cava
Un altro dei motivi contestati con il ricorso della società era quello per cui il «pieno recupero della cava sarebbe già stato spontaneamente quasi raggiunto grazie alla prolungata azione degli elementi naturali i quali avrebbero determinato, non solo la riqualificazione ambientale del sito, ma anche la sua riqualificazione paesaggistica, atteso che esso può essere attualmente visivamente percepito dalle zone limitrofe come ambiente naturale non più compromesso dall’attività antropica». La società aveva viceversa proposto un piano che prevedeva la movimentazione di 2.657.400 metri cubi di materiale e il riporto di 148.100 metri cubi. Per eseguire tale progetto in 16 anni si sarebbe avuta la movimentazione annua di circa 166.000 metri cubi di materiale. «Dall’esame dei dati produttivi storici indicati nelle schede statistiche annuali delle Cave – riportano i giudici di Palazzo Spada – si rileva una produzione annuale che raramente ha superato 90.000 metri cubi, restando comunque sempre sotto i 100.000 metri cubi. Considerando, inoltre, la sospensione delle attività estrattive nel periodo invernale, appare pertanto eccessivamente ottimistica la stima proposta dalla Ditta». Il Rapporto Ambientale prodotto in sede di Vas, e condiviso dai massimi giudici amministrativi in quanto non manifestamente illogico e non carente di motivazioni, ha effettuato «un puntuale raffronto tra gli impatti della ripresa dell’attività estrattiva proposta dalla ricorrente e la ripresa spontanea della vegetazione e la ricolonizzazione faunistica osservata nell’area di cava negli ultimi 15 anni a seguito della cessazione delle attività estrattive. Il bilancio complessivo tra i benefici del recupero e gli effetti ambientali indotti dalle attività estrattive, dalle trasformazioni dei suoli e dai volumi di scavo è stato giudicato “sfavorevole”. […] La proposta di ripresa dell’attività estrattiva non è sostenibile in quanto gli effetti ambientali, non mitigabili, si protraggono nel tempo e nello spazio in un ambito molto più ampio dell’area interessata e si propone lo stralcio della cava in attuazione dello scenario alternativo che prevede un progetto di recupero paesaggistico – ambientale finalizzato a eliminare gli elementi di instabilità senza ripresa dell’attività estrattiva che impatterebbe sui fattori e/o elementi di resilienza sia interni che esterni al perimetro dell’area che ne stanno favorendo il recupero autonomo». Sulla base di queste motivazioni il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso presentato dalla società estrattiva, nel solco di altri pronunciamenti della giustizia amministrativa su questioni analoghe.