Il Consiglio di Stato sancisce che un giudizio di annullamento di un Piano urbanistico comunale non consente ad aree edificabili di riacquisire quella destinazione. Soprattutto se si ha a che fare con aree protette. Ma la giurisprudenza non è univoca
In copertina, scorcio di Caramanico Terme nel Parco Nazionale della Majella – foto ©Fabio Modesti
di Fabio Modesti
Se un piano urbanistico comunale viene annullato in sede giurisdizionale le conseguenze sono equiparate «alle conseguenze dell’intervenuta decadenza di un vincolo preordinato all’esproprio per cui, a seguito di detto annullamento, l’area non riacquista automaticamente la propria antecedente destinazione urbanistica, ma si configura come area non urbanisticamente disciplinata e cioè come c.d. “zona bianca”». Lo stabilisce il Consiglio di Stato, IV sezione, in una recente sentenza. In tal caso l’amministrazione comunale «è tenuta ad esercitare la propria discrezionale potestà di conformazione del territorio, attribuendo una congrua destinazione a tali aree, anche prescindendo dall’istanza del privato. L’annullamento del P.r.g., quindi, non comporta automaticamente né la reviviscenza della precedente disciplina urbanistica, né l’applicabilità della destinazione urbanistica delle aree limitrofe ma configura un obbligo di ripianificazione in capo all’amministrazione. L’inerzia in tal senso consente al privato di attivare i rimedi contro il silenzio inadempimento». La questione esaminata dal Consiglio di Stato riguardava il ricorso presentato da alcuni proprietari di aree edificabili che, con il nuovo Piano urbanistico approvato dal Comune di Meda, Provincia di Monza e della Brianza poi annullato in sede giurisdizionale, chiedevano che i suoli di proprietà tornassero alla precedente destinazione di edificabilità. Gli appellanti avevano chiesto anche il risarcimento dei danni patrimoniali e non.
Il ruolo del parco regionale delle Groane
I giudici di Palazzo Spada hanno valorizzato, nelle loro motivazioni, anche il fatto che in una precedente sentenza fosse stato «evidenziato come la situazione dell’area e la sua destinazione a tutela di aree sensibili in senso ambientale (in quanto comprese nel Parco della Brughiera Briantea – parte integrante del Parco regionale lombardo delle Groane n.d.r. – e in area soggetta a vincolo idrogeologico) spinge per una valutazione in senso restrittivo delle possibilità edificatorie derivanti dall’annullamento dello strumento urbanistico adottato». Ne discende che «la discrezionalità amministrativa dell’Amministrazione che non era venuta meno per effetto dell’annullamento delle previsioni urbanistiche del 1998 impedisce di ravvisare nella condotta del Comune la fonte di un danno risarcibile […]».
Il problema di una giurisprudenza non univoca
Tuttavia i giudici della quarta sezione del Consiglio di Stato ammettono che vi è anche un orientamento giurisprudenziale diverso all’interno della massima giustizia amministrativa che, cioè, «afferma, al contrario, quale effetto dell’annullamento giurisdizionale del P.r.g. la reviviscenza del precedente strumento urbanistico. La mancanza di un orientamento giurisprudenziale uniforme dipende dalla non chiarezza del contenuto dell’art. 9, comma 1., d.P.R. 380/2001 [Testo unico sull’edilizia n.d.r.] che, disciplinando i casi di “Attività edilizia in assenza di pianificazione urbanistica”, non distingue, quando parla di “comuni sprovvisti di strumenti urbanistici”, tra i casi di mancata adozione dello strumento e quelli di suo annullamento».