Animali selvatici in città: gli uccelli sono diventati i maggiori frequentatori delle nostre aree urbane ma non siamo molto ospitali con loro. Bisogna guardarsi intorno tra palazzi, aree incolte e balconi di casa per scoprire cose sagge e meravigliose
di Paolo BREBER
In copertina, coppia di fanelli (Linaria cannabina) in piena città a Bari – foto Fabio Modesti –
Il “birdwatching”, come il termine stesso ce lo fa capire, è nato in Inghilterra. Si tratta del piacere di osservare gli uccelli a distanza senza disturbarli. Gli inglesi dopo un passato di sfegatati sparatori, si sono pentiti (il fagiano non concorderebbe) e dal mirare un uccello lungo la canna di una doppietta ora trovano piacere a osservarli attraverso la canne di un binocolo… Come si suol dire: grandi peccatori, grandi santi. In Italia questa conversione è arrivata più tardi, negli anni ’70 del secolo scorso. Il luogo privilegiato per il birdwatcher sono le grandi distese di acqua, specialmente quelle salmastre, perché lì gli uccelli sono ben visibili, sono di molte specie variopinte e in grossi stuoli misti piuttosto fermi. Nel bosco, in montagna, lungo la costa le specie che si incontrano non sono molte e solo per qualche istante, a meno che si stia osservando qualche rapace che volteggia in alto. In pianura poi, che da noi è tutta coltivata, c’è un vero deserto eccetto per qualche allodola. Persino la quaglia, di cui c’è un certo ritorno, ha cambiato abitudini. È più facile sentirla nei prati di collina che nella ristoppia.
Il “birdwatching” si fa in città
Nella congestionata ed infrastrutturata pianura padana si consiglia di fare birdwatching nei giardini e nelle zone verdi urbane piuttosto che nelle squallide distese arative tra un’area metropolitana e l’altra. Non sto parlando di specie da sempre note per frequentare ambienti di mattone come falco pellegrino, gheppio, civetta, piccione e passero, anche se questo di recente merito più attenzione perché si è rarefatto, ma di quelle normalmente associate alla campagna e ai boschi. La ghiandaia, per esempio, avrebbe come habitat il bosco fitto dove è odiata dai cacciatori perché dà l’allarme e scompare troppo svelta per prendersi una fucilata. Ora la si vede senza alcun pudore svolazzare allo scoperto nel parco cittadino. Ciò che attira molto nel verde urbano è la prevalenza di piante sempreverdi. Molti uccelli, in primis il merlo, cominciano a pensare al nido appena le giornate iniziano ad allungarsi anche se il tempo è ancora invernale. Niente per loro è più gradito di una fitta siepe sempreverde dove nascondersi.
Fare il nido tra rami non ancora in foglia vuol dire mettersi alla mercé della prima gazza ladra di passaggio, famosa predatrice di nidiacei. La gazza è straordinaria; deve essere l’uccello più adattabile in assoluto. La si può incontrare sia nel nord disabitato della Scandinavia che nella arida campagna della Puglia, però svolazza felice anche tra le case di Venezia. Cosa dire dello schivo colombaccio, grande ed elegante cugino del piccione? I cacciatori lo conoscono d’inverno quando lo cercano in lontani boschi. È stato sempre un uccello molto guardingo assai difficile da sorprendere. Tuttavia da un po’ di anni lo s’incontra sui marciapiedi di città, tra i passanti, mentre cerca le ghiande cadute dai lecci del verde urbano. Le variegate ed esotiche piante dei parchi e giardini sono ricche di semi e frutti. D’inverno i filari di alberi lungo i viali sono frequentati da stuoli di fringuelli. È facile vedere il volo ondeggiante del picchio verde e del picchio rosso maggiore e sentire risuonare il loro verso. Nella pianura padana dove canali e scoli sono dappertutto, garzette ed aironi cenerini s’incontrano dietro casa. Tra gli aghi di cedri e pini, così comuni nei parchi, regoli, fiorrancini e cince frugano per insetti. Il pettirosso, poi, lo s’incontra d’inverno quando si esce di casa al mattino. L’erba tenuta sempre rasa dei giardinetti è regolarmente frequentata dai merli e storni; gli uccelli non amano scendere nell’erba alta. Il fatto che il prato all’inglese vada regolarmente innaffiato attira i lombrichi presso la superficie, a portata di becco, anche d’estate. E per questo motivo, qualche volta all’imbrunire, si vede l’ombra silenziosa della beccaccia posarsi sul praticello di casa.
I microclimi urbani
Da un punto di vista ecologico, le grandi distese di villette che si sono diffuse negli ultimi decenni sono quasi dei frattali, un ripetersi senza fine di nicchie ecologiche non più grandi di qualche decina di metri quadrati, infinitamente articolate in aiuole, orti, siepi, alberi, recinti, muretti, rispostigli, rimesse, tettoie, statuette, serre, laghetti, il tutto attorno ad una abitazione che emanando calore d’inverno offre un microclima. Pensate alla stizza delle donne quando col primo freddo si vedono invase da quelle odiate “cimici verdi”, colpevoli di voler passare l’inverno un po’ al caldo. Ci sono vaste estensioni di territorio chiuse alla fauna terrestre ma accessibile dall’aria ed, infatti, come abbiamo visto, molti uccelli vi si sono trasferiti dalla campagna, oltretutto beneficiati dal fatto che in tali lande metropolitane la caccia vi è forzatamente preclusa. Alcune cose, però, non sono ancora abbastanza diffuse nella nostra civiltà delle villette: nidi artificiali, mangiatoie, abbeveratoi e bagni per uccelli.
Paolo Breber